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Relazione del libro: Game Zone "Playground tra scenari  virtuali e realtà" 

di Alberto Iacovini

Autore: Alberto Iacovoni


Editore: Edilstampa


Collana:The it revolution


Anno edizione:2006

Gamezone presenta un percorso attraverso gli in Architecture aspetti ludici dell'architettura, dalla New Baby- lon situazionista ad opere delle avanguardie degli anni Sessanta e Settanta alle più recenti sperimentazioni caratterizzate dalla capacità del gioco di sovvertire regole e convenzioni, fino alle convergenza tra spazio reale e virtuale consentita dalle nuove tecnologie digitali. Il volume è strutturato in tre grandi parti. Nella prima si indagano le diverse componenti sociali, psicologiche e spaziali del gioco; nella seconda si analizzano esempi che ricadono in sei diverse strutture ludiche. La terza parte riguarda la progettazione del terreno in un rapporto di complicità con l'architettura che diventa essa stessa «Play-scape», terreno da gioco e del gioco. Nel contesto problematico di questo libro architettura e terreno si combinano quindi non solo nel dato forma-tivo, ma anche dal punto di vista relazionale e sociale. Il libro è il riuscito tentativo di comprendere il potenziale di un'architettura consapevolmente ludica, che utilizza il gioco per creare nuove forme di relazione e nuove modalità di costruzione degli spazi complessi della contemporaneità.

Alberto lacovoni (Roma, 1966), architetto, è socio fondatore dello studio d'architettura ma0 con il quale nel 2002 progetta l'allestimento di PLAY. il mondo dei videogames al Palazzo delle esposizioni di Roma. È curatore di Playgrounds sulla webzine «Arch'it», nonché membro dal 1999 del gruppo Stalker/Osservatorio Nomade, con il quale si occupa di numerosi interventi e performance nello spazio pubblico.

"Game Zone, Playground tra scenari virtuali e realtà" è un affascinante contributo di Alberto Iacovoni che esplora un percorso ricco di sfumature, iniziando con la riflessione sul legame tra gioco, inteso come attività ludica, e architettura. Iacovoni ci guida attraverso un viaggio che abbraccia le prospettive degli architetti radicali e situazionisti, sino ad approdare agli aspetti più contemporanei e digitali, che ambiscono a ridefinire le regole convenzionali tra spazio reale e virtuale. Il testo esplora le complesse relazioni tra architettura e gioco nel corso del secolo scorso fino a oggi. Si sottolinea la sfida nel definire chiaramente "gioco" e "architettura" data la loro varietà di contesti. Si evidenzia l'importanza storica di collegare il gioco alla trasformazione radicale dello spazio. L'autore si interroga sulla validità attuale di questa connessione. L'architettura viene considerata come un mezzo influente per modellare la realtà. Si pone un'attenzione critica sulla distinzione tra architetture create per il gioco e quelle con una genuina sensibilità ludica. La tensione tra aspettative elevate per l'architettura e una valutazione rigorosa del ruolo del gioco emerge come tema centrale, concludendosi con la provocatoria domanda: "A che gioco vogliamo giocare?". Il gioco, secondo l'autore, riveste un ruolo stimolante non solo per le capacità intellettuali e artistiche dei bambini, ma si estende anche agli adulti, offrendo una prospettiva diversa sulla realtà stessa. Il gioco, con la sua semplicità e l'assenza di regole rigide, diviene uno strumento attraverso il quale osservare il mondo da un nuovo punto di vista, aprendo la porta a nuovi mondi possibili.

"una parte diventa campo di gioco"

Nel capitolo introduttivo, Iacovoni sottolinea la necessità di trasformare l'architettura in gioco per liberarsi dalle restrittive e semplificare le regole imposte dalla disciplina. Questa trasformazione permette di conquistare un margine di libertà interpretativa tra soggettività ed oggettività, aprendo nuove prospettive e modalità di espressione. Gli spazi del gioco, sia reali che immaginari, riflettono la complessità delle regole del gioco. L'architettura interviene in questi spazi, definendo confini, aprendo accessi e strutturando interfacce. Questi luoghi urbani diventano il palcoscenico del "social game" delle città, dove l'architettura non solo implementa regole, ma ha anche il potere di metterle in discussione e proporre nuove modalità di interazione tra gli abitanti. Gli spazi del gioco sono descritti come complessi e interconnessi, rappresentando luoghi carichi di significato. 

Particolare attenzione viene dedicata al termine "gioco", al quale l'autore attribuisce la capacità di denotare un ampio spettro di attività, pur mantenendo una sua specificità di significato. La relazione tra "game" e "play" è esplorata con riferimento alla prefazione di "Homo Ludens" di Umberto Eco, evidenziando le differenze tra competenza e performance, regole conosciute e rispettate nel gioco, e l'istantaneità del piacere nel gioco.

Il libro procede attraverso vari capitoli dedicati ai diversi tipi di gioco, suddivisi in "playground",  termine comunemente associato a spazi delimitati e prefabbricati per il gioco dei bambini, ma il testo critico questa concezione standardizzata. Si evidenzia la desolazione di tali aree, riflesso di una società che dedica poco spazio al gioco autentico dei bambini, spesso relegato dietro recinzioni o confinato nei parchi a tema.

Il testo propone una visione alternativa dei parchi giochi come luoghi che sfidano le recinzioni e rispettano le ragioni più profonde del gioco infantile: scoperta, sogno e avventura. Storie di alterazione della percezione sono utilizzate come esempi di come l'atto di progettare un parco giochi possa implicare una rottura con il significato convenzionale, creando un terreno fertile per nuove esplorazioni della forma e del suo significato.

L'uso dell'analogia del collage suggerisce che il gioco implica decontestualizzare e ricontestualizzare elementi esistenti, stimolando riflessione e creatività.  Il testo evidenzia come, nel gioco del nascondino o in comportamenti difformi nella città, gli individui possono reinventare e reinterpretare gli spazi. Il concetto di un "hot playground" viene introdotto, in cui lo spazio urbano diventa narrativo, un luogo di inizio per esperienze e avventure, liberandosi dai vincoli del rapporto forma/funzione. In questi luoghi, come descritto da Sennet, i ragazzi si isolano consapevolmente attraverso il gioco, comportandosi come se fossero agenti totalmente liberi, dando vita a una finzione che sembra essere l'unico fatto reale in quel momento. Il testo cita un esempio di parco giochi urbano affollato e rumoroso, dove, nonostante la durezza della superficie, il tempo può iniziare e gli spazi possono acquisire carattere quando specifico usato in modi non previsti, sfidando la concezione tradizionale di forma e funzione. L'autore esplora l'invasione del gioco nella città, evidenziando come l'architettura diventi un attore chiave nella costituzione dello spazio urbano. Da un lato, essa influisce sui comportamenti sociali, producendo relazioni tra individui e spazio; dall'altro, crea una realtà complementare fatta di immagini, forme e contesti ambientali.

Ma0, Flacone, 2010

Il mare dei piccoli, Taranto 2003, Architettura quotidiana e Simona Martino

Ricerca di comodità in una poltrona scomoda, 1950, Bruno Molinari 

Ma0,"playscape", concorso Europa VII, Drancy, Francia

Il terzo e ultimo capitolo, dedicato ai "playscape", si spinge oltre, considerando la geografia e la composizione di luoghi come baraccopoli e terreni vuoti. In questi territori in via di sviluppo, l'architettura assume una forma instabile, trasformandosi in un parco giochi autocostruito senza l'ausilio di tecnologie complesse. Qui, regole e limiti si adattano alle esigenze della comunità, creando uno spazio fluido e dinamico che si evolve in base ai desideri e alle necessità di coloro che lo abitano.

"nuovi spazi produrranno in sè stessi nuovi tipi di desideri, nuovi tipi di relazioni sociali etc.- che sembra ignorare la materialità del potere del mondo esistente" ( Levin 96) con questa affermazione si può notare come ognuno di questi playground si propone di incidere sulla realtà un ottimismo che a volte sfocia in un determinismo architettonico/ urbanistico. L'architettura assume una funzione ludica, liberando lo spazio dalle catene topologiche  che immobilizzano cose e uomini,  ogni progetto è il paradosso dei terrain vague, ovvero l'unico playground spontaneo dove tutti possono fare quello che gli piace, per andare oltre a quelle contraddizioni irriducibili tra mobile e statico.